Nel reato di occultamento o distruzione di documenti contabili ex art. 10 del D.lgs. n. 74 del 2000, il dolo specifico di evasione, richiesto dalla norma incriminatrice, presuppone la prova della produzione di reddito, che può desumersi dal fatto che l’imputato è titolare di un'attività commerciale.
È quanto emerge dalla lettura della
sentenza n. 11301/2022 della Corte di Cassazione (Sez. III pen.), pubblicata il 29 marzo.
Il reato - Ai sensi dell’art. 10 del D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74:
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«Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da tre a sette anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l'evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari».
Il caso - La vicenda processuale in esame riguarda il titolare di una Ditta individuale al quale sono state applicate la pena detentiva e le pene accessorie, in virtù dell’accertamento della commissione da parte sua del reato suddetto.
Il giudizio di responsabilità penale è stato pronunciato inizialmente dal GUP e in seguito anche dalla Corte d’Appello di Bergamo. L’imputato ha quindi proposto ricorso alla Suprema Corte, per il tramite del difensore di fiducia, contestando, in particolare, l’esistenza della prova del dolo specifico di evasione, nonché la corretta individuazione della data di consumazione del reato.
Quanto al primo aspetto, il ricorrente ha sostanzialmente sostenuto l’assenza di intenzionalità, riconducendo la mancanza della documentazione contabile a un proprio comportamento negligente; mentre per quanto riguarda il momento consumativo del reato, ha sostenuto l’applicabilità del regime sanzionatorio meno severo, vigente prima dell’entrata in vigore della riforma attuata dal D.lgs. n. 158 del 2015.
Ebbene, il ricorso non ha avuto successo.
I rilievi della S.C. - I Massimi giudici, nel disattendere le censure difensive, in particolare, hanno rilevato che l'accertamento del dolo specifico richiesto per la sussistenza del delitto di cui all'art. 10 D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (occultamento o distruzione di documenti contabili al fine di evasione) presuppone la prova della produzione di reddito e del volume di affari, che può desumersi, in base a norme di comune esperienza, dal fatto che l'agente sia titolare di un'attività commerciale, prova peraltro risultante, nel caso di specie, dagli accertamenti fiscali eseguiti dalla G.d.F.
Sotto il profilo del momento consumativo del reato, gli Ermellini invece hanno osservato che,
«in assenza di prova certa della distruzione che presuppone una condotta di soppressione della documentazione (nella specie, mancante, tant’è che lo stesso ricorrente nel ricorso si esprime in termini alternativi e incerti, asserendo essere state dette fatture “smarrite e/o distrutte” prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 158 del 2015), il reato non può che ritenersi configurabile nella forma di occultamento, consistente nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione da parte degli organi verificatori, i quali, infatti, proprio nel PVC non parlano di distruzione, ma, come evidenziato dallo stesso ricorrente nel ricorso, riferiscono che la “la parte … per tale esercizio non ha conservato n. 12 fatture di vendita e/o n. 1 per l’anno 2014”, ed è evidente che il “non conservare” è condotta omissiva diversa dal “distruggere” che presuppone un comportamento commissivo, di cui non vi è traccia nelle dichiarazioni del ricorrente in sede di PVC né in quanto riferito dai verbalizzanti».
Per gli Ermellini, quindi, l’impugnata sentenza è approdata alla giusta conclusione, quando ha individuato la normativa applicabile in quella successiva alla novella introdotta con il D.lgs. n. 158 del 2015.
La giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che il reato di occultamento della documentazione contabile ha natura di reato permanente, in quanto la condotta penale dura sino al momento dell’accertamento fiscale, «dies a quo» da cui decorre il termine di prescrizione. Mentre la fattispecie di distruzione (nella specie rimasta sprovvista di prova) ha natura di reato istantaneo.
Ricorso respinto- In definitiva, la Suprema Corte ha respinto il ricorso dell’imputato, condannandolo altresì al pagamento delle spese processuali.