3 agosto 2022

Il consulente risarcisce il cliente che ha mal consigliato

Cassazione civile, ordinanza depositata il 2 agosto 2022

Autore: Paola Mauro
Il contribuente ha diritto al risarcimento del danno quando le violazioni riscontrate dalla polizia tributaria, che hanno dato luogo all’irrogazione di sanzioni e al recupero di maggiori importi a titolo d’imposte, sono conseguenza diretta della messa in atto delle indicazioni ricevute dal consulente fiscale.

È quanto emerge dalla lettura dell’ordinanza n. 23974/2022 della Corte di Cassazione (Sez. VI-3 civ.), depositata il 2 agosto.

Il caso - Una società tra commercialisti ha proposto ricorso davanti alla Corte di legittimità, dopo essere stata condannata dal Tribunale di Asti a risarcire un’azienda cliente, a seguito dell’accertata negligenza nell’espletamento dell’attività di consulenza fiscale.

Il Giudice di merito ha, infatti, sposato la tesi attorea, secondo cui le contestazioni erariali, sfociate nell’emissione di sei avvisi di accertamento e nell’irrogazione di sanzioni, erano scaturite dalle «improvvide scelte operative e dalla carente assistenza e consulenza prestata dalla convenuta».

Ebbene, gli Ermellini, con l’ordinanza in esame, hanno confermato e, quindi, reso definitivo il giudizio di responsabilità espresso dal Tribunale piemontese nei confronti dello Studio professionale in questione.

La società risponde dell’errore del collaboratore - Innanzitutto, il Supremo Collegio ha avallato la decisione del Giudice di merito in ordine alla condanna della società convenuta per l’operato del singolo socio (nella specie, il dottore commercialista che aveva materialmente adempiuto in modo negligente le obbligazioni di assistenza fiscale assunte dall’ente).

A tal riguardo, nell’ordinanza in esame si osserva, in particolare, «che una società commerciale ovviamente, se arreca un danno ai propri clienti, non può farlo che per il tramite delle persone fisiche della cui opera si avvale».

Ricadute fiscali dei consigli forniti - Gli Ermellini, poi, hanno disatteso il motivo di ricorso incentrato sull’irrogazione all’azienda cliente, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di una sanzione per la mancata emissione di fatture.

La ricorrente ha argomentato che non compete al consulente fiscale, bensì agli organi di polizia tributaria «verificare la mancata emissione delle fatture».

Ad avviso dei Massimi giudici, però, il Tribunale di Asti ha correttamente fatto derivare la responsabilità del consulente fiscale dall’assetto societario da lui stesso consigliato al cliente.

Chiosano gli Ermellini: «Qui, infatti, non ci troviamo dinanzi al caso di una società commerciale che svolga operazioni commerciali senza emettere fattura, e delle quali il consulente fiscale è incolpevolmente ignaro.

Qui ci troviamo dinanzi al caso di una società commerciale che ha svolto operazioni commerciali senza emettere fattura in virtù e in esecuzione di un assetto dato all’attività d’impresa proprio su indicazione e consiglio del consulente fiscale, secondo quanto accertato dal Giudice di pace e confermato dal Tribunale. […].

È certo che non è obbligo del commercialista accertare se il cliente abbia assolto l’obbligo di fatturazione, ma non è men certo che è obbligo del commercialista preoccuparsi delle ricadute fiscali dei consigli dati al cliente circa la veste formale dietro la quale svolgere l’attività d’impresa».

Concorso di colpa - Infine, dal “Palazzaccio” hanno escluso l’ammissibilità dell’eccezione di concorso colposo del danneggiato per la mancata adesione di quest’ultimo al condono di cui al decreto-legge 22/10/2016 n. 193, in quanto tardivamente sollevata dalla ricorrente.

I Massimi giudici hanno spiegato che «l’eccezione del cui omesso esame la società ricorrente si duole rientra nella previsione di cui al secondo comma dell’art. 1227 c.c.: ed infatti il non avvalersi di un provvedimento normativo di condono è una condotta che non causa il danno, ma aggrava quello già prodotto dal fatto illecito o dall’inadempimento».

Tuttavia – hanno aggiunto i giudici di Piazza Cavour - «l’eccezione di aggravamento del danno di cui all’art. 1227, comma secondo, c.c., non è rilevabile d’ufficio, ma è riservata all’iniziativa di parte»; parte che, nel caso in esame, avrebbe dovuto chiedere la rimessioni in termini ex art. 153 c.p.c., visto l’entrata in vigore dell’art. 6 del D.L. n. 193/2016 in pendenza del giudizio di primo grado.

Trattandosi, infatti, di un’eccezione non rilevabile d’ufficio, non poteva essere proposta – come è invece accaduto – per la prima volta nel giudizio di appello.

Condanna alle spese - In conclusione, alla luce di tutto quanto sopra esposto il ricorso della Società di consulenza fiscale è stato integralmente respinto dalla Suprema Corte, che ha liquidato le spese di lite a carico della soccombente.
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