L’avviso di accertamento è illegittimo quando rinvia al PVC della Guardia di Finanza che non riporta e non riproduce gli elementi a supporto dell’indagine, richiamati in modo passivo e acritico nello stesso atto impo-esattivo.
Lo afferma la Corte di Giustizia Tributaria di I° grado di Reggio nell’Emilia, sez. 1, nella
sentenza n. 188/2022 (presidente e relatore: Montanari Marco)
depositata il 18/10/2022, nella quale viene accolto il ricorso del contribuente.
L’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Reggio Emilia, emetteva un avviso di accertamento ai fini Irpef, relativi all’anno di imposta 2016, nei confronti del ricorrente, perché, secondo l’Agenzia, la società avrebbe utilizzato fatture inesistenti emesse da società cartiere, costituite con il solo fine di emettere falsi documenti fiscali; a prova di ciò, secondo l’Ufficio, vi era un PVC redatto dalla Guardia di Finanza al termine di un’indagine penale in cui queste società “fantasma” risultavano evasori totali, non avendo mai presentato dichiarazioni fiscali ed essendo prive di mezzi e strutture adeguate.
Il ricorrente adduceva, come motivazione principale del ricorso, il fatto che, in una fattispecie analoga riguardante i medesimi soggetti, il ricorso presentato dallo stesso era già stato accolto dalla CTP di Reggio Emilia, con la sentenza n. 242/2021, la quale aveva completamente annullato gli atti impositivi. Ad avviso del ricorrente, poi, l’accertamento era viziato in quanto privo di completa motivazione.
La sentenza in oggetto accoglie il ricorso del contribuente. Il Collegio emiliano, in primo luogo, evidenzia la nullità dell’avviso di accertamento emesso dall’Ufficio per vizio di motivazione. E ciò in quanto, sulla base di quanto riportato nell’art. 3, Legge n. 241/1990, se nelle motivazioni dei provvedimenti amministrativi si fa menzione di altri atti (non conosciuti dal contribuente), questi devono essere allegati all’atto che lo richiama, insieme a una parte delle motivazioni in modo tale che il contribuente sia a conoscenza dell’argomento trattato.
Sul punto, i giudici di prime cure richiamavano l’insegnamento dello Statuto del Contribuente - art. 7 della
Legge n. 212/2000 - in cui si ribadisce con forza che gli stessi atti nominati e dunque richiamati nei provvedimenti devono essere già a conoscenza del contribuente mediante notifica precedente, pena il mancato rispetto del diritto di difesa di ogni contribuente (Cassazione, sentenza n. 29968/2019; Ordinanza n. 14723/2020).
Afferma infatti l’art. 7 dello Statuto che
“gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’art. 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”.
In questo caso, i suddetti requisiti non sono stati rispettati, e da ciò non poteva che derivare la nullità dell’atto impositivo, in quanto il PVC della Guardia di Finanza (e l’avviso di accertamento, poi) non riportava né riproduceva in allegato i documenti a supporto degli elementi d’indagine richiamati nello stesso, in palese violazione del disposto dello Statuto del Contribuente.
Verificato che l’avviso di accertamento era mancante dell’allegazione di atti o documenti solo menzionati nelle conclusioni delle indagini dei militari, il Collegio statuiva l’illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato.