In tema di imposta sul reddito delle persone fisiche, al fine di superare la presunzione di trasferimento fittizio della residenza a Montecarlo, non basta dedurre l’iscrizione all’AIRE, il pagamento delle utenze domestiche nel Principato e la vicinanza tra questo e l’Italia, circostanza che rendere possibile il rientro in giornata in occasione degli spostamenti verso il Belpaese. Si tratta, infatti, di elementi inidonei a dimostrare che il Principato di Monaco è il luogo di gestione abituale, riconoscibile dai terzi, degli interessi economici e personali del contribuente.
È quanto emerge dalla lettura della
sentenza n. 29635/2022 della Corte di Cassazione (Sez. V civ.), depositata l’11 ottobre 2022.
Il caso - In sintesi, la controversia concerne un soggetto, appartenente al mondo dello spettacolo, che ha impugnato alcuni di avvisi di accertamento notificatigli dall’Agenzia delle Entrate ai fini Irpef e IVA per gli anni d’imposta 2002, 2204, 2005, 2006 al 2007, fondati sulla contestazione della residenza effettiva in Italia, a fronte di quella solo formale a Montecarlo.
Ebbene, in relazione ai periodi 2002 e 2004, la C.T.P. di Roma ha rilevato la nullità del recupero a tassazione, per violazione del termine di sessanta giorni di cui all’art. 12 comma 7 L. n. 212 del 2000, mentre per i restanti anni oggetto di verifica, la Commissione capitolina ha ritenuto di avere elementi di prova sufficienti per dichiarare l’insussistenza del domicilio fiscale in Italia.
Pertanto, l’intero operato del Fisco è stato annullato in esito al giudizio di primo grado, e anche quello d’appello ha avuto analogo epilogo, posto che la C.T.R. del Lazio ha respinto l’atto d’appello presentato dall’Amministrazione.
La controversia è dunque approdata nelle aule del “Palazzaccio”, dove la Difesa erariale ha ottenuto il riconoscimento delle proprie ragioni.
I rilievi della S.C. -Innanzitutto, gli Ermellini hanno dato ragione alla ricorrente Agenzia delle Entrate per quanto riguarda l’emissione dei primi due avvisi di accertamento “ante tempus”.
Al riguardo, il contribuente non ha sollevato l’eccezione di nullità in relazione all’art. 12 Stat. Contr. e, pertanto, i giudici di merito non potevano rilevare “ex officio” - come invece hanno fatto - tale vizio procedurale, trattandosi di eccezione in senso proprio.
- Per la Suprema Corte: «In definitiva, in mancanza di un’eccezione di decadenza da parte del contribuente, la statuizione dei secondi giudici di annullamento degli avvisi di accertamento, relativi alle annualità 2002 e 2004, perché emessi ante tempus rispetto al termine di sessanta giorni indicato dall’art. 12, comma 7, l. n. 212 del 2000, è affetta da vizio di ultrapetizione».
Passando agli altri anni d’imposta considerati, gli Ermellini hanno invece riscontrato la violazione, da parte della C.T.R. del Lazio – e prima ancora da parte della C.T.P. di Roma – delle regole che governano la verifica dell’effettività del domicilio fiscale del contribuente.
L’Ufficio ha prodotto
numerosi elementi indiziari, per provare la tassabilità del reddito in Italia, tra cui la presenza sul territorio nazionale di tre appartamenti di proprietà del contribuente, nonché lo svolgimento, da parte del medesimo, di numerose attività professionali, retribuite, legate all’attività di attore e doppiatore.
Sempre l’Ufficio ha documentato, attraverso indagini bancarie, un’intesa attività di spesa e di incasso in Italia.
A fronte di questi fatti, la C.T.R. di Roma, al fine di ritenere infondata la pretesa impositiva, ha ritenuto dirimenti le
seguenti allegazioni del contribuente: le tariffe telefoniche flat, a consumo, per l’uso del telefono nel Principato; la presenza in Italia soltanto per motivi familiari e per tenere corsi di doppiaggio; la vicinanza del Principiato di Monaco a Roma, con conseguente possibilità di fare il “pendolare”, con rientro nella stessa giornata.
- Secondo la Suprema Corte, però, così facendo il Collegio territoriale ha affermato la residenza monegasca senza compiere alcuna valutazione sulla effettività del domicilio nei termini indicati dal costante orientamento della giurisprudenza di legittimità «e quindi sulla prevalenza, rispetto all’Italia, del Principato di Monaco, quale luogo di gestione abituale, riconoscibile dai terzi, degli interessi economici e personali del G.».
La citata giurisprudenza, in particolare, ha affermato che l’art. 2, comma 2, TUIR «
richiede, per la configurabilità della residenza fiscale nello Stato tre presupposti, indicati in via alternativa; il primo, formale, rappresentato dall’iscrizione nelle anagrafi delle popolazioni residenti, e gli altri due, di fatto, costituiti dalla residenza o dal domicilio nello Stato ai sensi del codice civile, con la conseguenza che l’iscrizione del cittadino nell’anagrafe dei residenti all’estero non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, allorché il soggetto abbia nel territorio dello Stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari ed interessi, nonché delle proprie relazioni personali, non risultando determinante, a tal fine, il carattere soggettivo ed elettivo della “scelta” dell’interessato, rilevante solo quanto alla libertà di effettuare la stessa, ma non ai fini della verifica del risultato di quella scelta; a tal fine, dunque, per il principio dell’affidamento, il centro principale degli interessi vitali del soggetto non può che essere individuato dando prevalenza al luogo in cui vi sia l’effettività della gestione degli interessi e sempre che sia riconoscibile dai terzi» (Cass. n. 14434/2010 e n. 677/2015).
Nel caso di specie, secondo il Collegio di legittimità, di tale principi la C.T.R. non ha fatto corretta applicazione, sicché è stato disposto l’annullamento della sentenza pro-contribuente e il rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, per la rinnovazione del giudizio.