3 maggio 2022

Fallimenti: commercialisti, ridefinire il perimetro del reato di dolo eventuale

I tre commissari straordinari del Consiglio nazionale: “Troppo spesso si traduce in presunzione di colpevolezza. Preoccupati da pronunce giurisprudenziali che minano la serenità dell’operato professionale a tutela di imprese e fede pubblica”

“Ridefinire il perimetro del reato di dolo eventuale, riconducendolo ai naturali requisiti di intenzionalità dolosa, che devono essere fattuali e che non possono tradursi in una presunzione di colpevolezza sull’assioma difetto di controlli - anch’essi sovente presunti - uguale intenzionalità di favorire il compimento di reati e dunque concorso in essi”. È la richiesta formulata dai commissari straordinari del Consiglio nazionale dei commercialisti, Rosario Giorgio Costa, Paolo Giugliano e Maria Rachele Vigani, in un documento inviato alla Commissione ministeriale per la revisione dei reati fallimentari.

“Il tema dei reati fallimentari – scrivono nel documento - ha rilevanti riflessi sulle responsabilità che i commercialisti assumono nell’attività di ausiliario del giudice, così come di professionista che assiste le imprese nella fase di crisi, così come ancora, e forse maggiormente, nei delicatissimi aspetti afferenti alla funzione di sindaco di società commerciali”. Proprio sulla punibilità a titolo di dolo eventuale dei componenti il Collegio sindacale, i tre commissari sottolineano che “preoccupa tanto i commercialisti alla luce delle pronunce giurisprudenziali che vanno formandosi e delle conseguenti azioni che le Procure della Repubblica tendono sempre più ad incardinare. Preoccupazioni che si riflettono nell’operato quotidiano, sempre più condizionato da timori di future e dunque postume letture che minano la serenità di giudizio del professionista e l’efficacia della propria opera professionale a tutela non solo dell’impresa, ma della fede pubblica”.

“I soggetti che non hanno la diretta gestione dell’impresa, ma doveri di controllo e di impedimento dell’evento illecito, come avviene per i componenti del collegio sindacale, sono spesso chiamati a rispondere – proseguono - a titolo di dolo eventuale e per non aver impedito l’evento, dei reati commessi dagli amministratori. Il “non aver impedito” presuppone la sussistenza di poteri impeditivi che il Collegio Sindacale evidentemente non ha né per le legge, né può avere per prassi”.

Secondo i tre esponenti della categoria professionale “il regime che nella prassi giudiziaria governa la responsabilità penale dei componenti del Collegio Sindacale spesso si traduce in una vera e propria responsabilità oggettiva. In contrasto con tutti i più elementari principi del diritto penale, vi è una presunzione di colpevolezza a carico dei componenti del Collegio sindacale, con una conseguente inversione dell’onere della prova, spesso del tutto impossibile da superare. In presenza di “segnali di allarme”, spetta al sindaco dare la prova di non essersi reso conto della loro esistenza e delle loro implicazioni: si tratta, evidentemente, di prova di regola impossibile da dare. L’assurda conseguenza è che molto di frequente i sindaci sono chiamati a rispondere per mera colpa di reati gravissimi, in teoria punibili solo a titolo di dolo. Laddove anche la colpa sia grave, in carenza dell’intenzionalità non si dovrebbe mai qualificare la stessa come dolo, cosa che accade sempre più frequentemente nelle azioni intraprese dalle Procure della Repubblica in forza dell’indiscriminato ampliamento della fattispecie giurisprudenziale del dolo eventuale”.

Il Consiglio nazionale dei commercialisti auspica che “venga presa in esame una ridefinizione del perimetro delle fattispecie del reato”. Due le soluzioni alternative prospettate dalla categoria: richiedere per tali reati in capo ai sindaci, che sia provato fin dagli atti di accusa il requisito della “intenzionalità”, il quale consentirebbe di escludere che la mera accettazione del rischio, e perciò il paradigma del dolo eventuale, sia applicabile nei loro confronti. Oppure richiedere l’esistenza della prova della effettiva conoscenza di segnali di allarme di tale entità da rendere altamente probabile la commissione di illeciti penalmente rilevanti e così che la accettazione del rischio sia tale da integrare la intenzionalità di favorirne il compimento. Questo per evitare che quella conoscenza sia oggetto di presunzione”.

I commercialisti sottolineano anche “che le azioni penali assumono per il professionista una valenza reputazionale molto gravosa, ma nondimeno escludono in luce la possibilità di avvalersi almeno della copertura assicurativa per i danni da responsabilità civile. Le polizze assicurative professionali escludono la copertura di danni pur in sede civile quando essa discenda da responsabilità di natura penale, il che si traduce nella esposizione del professionista finanche a rischi di provvedimenti cautelari che rappresentano per lo stesso di per sé un danno irreparabile, tanto più alla luce della eccessiva durata dei procedimenti penali nel nostro Paese. Anche per questo – concludono i tre commissari - il Consiglio nazionale dei commercialisti auspica che la Commissione “prenda in esame ogni possibile soluzione normativa atta a ripristinare il confine da condotte colpose e condotte dolose, così che i procedimenti di natura penale coinvolgano i professionisti solo quando essi hanno agito intenzionalmente”.
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