La figura dell’esperto facilitatore, introdotta dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), rappresenta una novità di rilievo nell’approccio alla gestione delle crisi aziendali. Egli funge da terzo imparziale nelle trattative tra imprenditore, creditori e stakeholder, con l’obiettivo di favorire il risanamento dell’impresa, evitando soluzioni liquidatorie.
Tuttavia, l’assenza di poteri autoritativi e certificativi comporta interrogativi sulla sua responsabilità penale. Il documento della Fondazione Nazionale dei Commercialisti analizza in modo puntuale i confini giuridici di tale responsabilità, chiarendo quando e in che misura l’esperto possa incorrere in sanzioni penali.
L’esperto facilitatore: un professionista, non un pubblico ufficiale
Nel sistema del CCII, l’esperto non è assimilabile a un pubblico ufficiale né a un incaricato di pubblico servizio. La sua attività si configura come una prestazione professionale priva di poteri certificativi o autoritativi. Questo esclude in radice la configurabilità dei reati propri dei pubblici ufficiali, come peculato, corruzione o abuso d’ufficio. Anche sul piano probatorio, l’esperto gode delle garanzie del segreto professionale, come previsto dall’art. 200 c.p.p., e non del segreto d’ufficio.
L’esclusione dai reati di falso e contro la giustizia
La mancanza di valore fidefacente degli atti prodotti dall’esperto impedisce l’applicazione delle fattispecie di falso ideologico o documentale. In particolare, non si configura il reato di falsità ideologica in certificati (art. 481 c.p.), né il reato ex art. 342 CCII relativo alle false attestazioni, riservato a professionisti specificamente incaricati in procedure diverse. Analogamente, l’esperto non è tenuto all’obbligo di denuncia ai sensi degli artt. 361 e 362 c.p., perché privo delle qualifiche soggettive necessarie.
Il concorso nei reati di bancarotta: condizioni e limiti
Più delicata è l’ipotesi di concorso nei delitti di bancarotta (artt. 322 ss. CCII). L’esperto può essere chiamato a rispondere penalmente solo in presenza di un contributo materiale o morale alla condotta illecita dell’imprenditore, accompagnato dalla consapevolezza e volontà di parteciparvi. È necessario dimostrare il nesso causale tra l’intervento dell’esperto e l’evento illecito, come nel caso di suggerimenti decisivi per operazioni fraudolente. La giurisprudenza è rigorosa nell’esigere la prova del dolo specifico.
La responsabilità omissiva e l’assenza di posizione di garanzia
L’esperto, a differenza di curatori o commissari, non ricopre una posizione di garanzia penalmente rilevante ex art. 40 c.p. Non avendo poteri di controllo o interdittivi sull’operato dell’imprenditore, non può essere ritenuto responsabile per il mancato impedimento di reati. Il suo ruolo si limita all’assistenza e facilitazione delle trattative, senza ingerenza nella gestione aziendale.
Conclusioni
Il quadro normativo e giurisprudenziale conferma che la responsabilità penale dell’esperto facilitatore è fortemente limitata. Solo in presenza di comportamenti attivamente partecipativi e consapevolmente illeciti potrà configurarsi un suo coinvolgimento nei reati dell’imprenditore. L’applicazione rigorosa dei principi di tipicità, tassatività e colpevolezza costituisce un presidio fondamentale per evitare derive punitive eccessive che comprometterebbero l’efficacia di una figura chiave nella gestione stragiudiziale delle crisi d’impresa.
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